Il paradigma teorico di riferimento del Centro è il modello dell’Elaborazione Adattiva dell’Inforazione (Adaptive Information Processing (AIP), utilizzato per la prassi terapeutica di cui l’EMDR è lo strumento d’elezione. Il concetto alla base dell’AIP è che ogni esperienza che viviamo durante il corso della nostra vita ha una corrispondenza dentro di noi, nelle nostre reti e aree cerebrali.

A partire dalla nascita, nel nostro cervello continuano a svilupparsi ininterrottamente nuovi neuroni che vanno a formare reti neurali complesse. In queste reti neurali risiedono “immagazzinati” i ricordi delle esperienze che costituiscono la nostra storia. Nuovi collegamenti neurali continuano a svilupparsi ad ogni nostra esperienza. Nei primi anni di vita sono principalmente le interazioni con gli adulti significativi, solitamente i genitori, ad influenzare ampiamente la modalità con cui immagazziniamo le nostre esperienze. In questo periodo si inizia a costruire il nostro senso di sé, ovvero ciò che pensiamo di noi stessi, e le nostre modalità di vivere i rapporti interpersonali. Tutto questo avviene attraverso degli apprendimenti creati dalle esperienze. Ma, a seconda di come sono state le esperienze, sia l’identità che il valore di sé potranno formarsi ed evolvere differentemente. Il modo in cui “funzioniamo” emotivamente e cognitivamente dipende, quindi, dalle miriadi di esperienze che sono rimaste e rimangono continuamente immagazzinate nelle reti neurali.

Quando veniamo esposti ad una esperienza traumatica, le normali procedure di registrazione e immagazzinamento subiscono una battuta d’arresto. Le informazioni collegate al trauma vengono bloccate e restano “intrappolate” in reti neuronali, scollegate dal resto, che mantengono le stesse convinzioni, emozioni e sensazioni fisiche che si erano attivate al momento dell’evento. Il materiale traumatico viene pertanto “congelato” in attesa che si creino le condizioni per la sua elaborazione; le informazioni restano isolate e frammentate in reti neurali che conducono una vita autonoma e non si integrano con le altre conoscenze. Esse vanno, in altre parole, a costruire circuiti di memoria disfunzionali. Un ricordo immagazzinato in modo funzionale è un ricordo che ha la possibilità adattiva di attivare dei collegamenti con altri ricordi in modo volontario, di essere cioè inserito nella rete di memoria che tutti noi abitualmente utilizziamo per attribuire significato alle nostre esperienze. In questo caso, l’individuo può scegliere di accedere al ricordo e di utilizzarlo in modo costruttivo. Nel caso, invece, di un ricordo immagazzinato in modo disfunzionale, i diversi aspetti dell’esperienza sono frammentati e possono riattivarsi in modo del tutto involontario (flashback, immagini, pensieri automatici, ecc.) assumendo quindi un carattere disadattivo. L’individuo può non comprendere interamente il motivo di quello che sta provando o i meccanismi del suo disagio, che rimangono scollegati dal resto, ma che sono lì, pronti a riattivarsi quando magari uno stimolo che ha con essi una qualche somiglianza li risveglia. Se la riattivazione riguarda materiale che era stato archiviato dopo una opportuna elaborazione, cioè un materiale con cui si ha, ormai, un rapporto quieto e sereno, non ci sono disagi emotivi o sintomi clinici. Ma, se nelle reti neuronali sono rimasti “intrappolati” pensieri ed emozioni disturbanti, oppure sensazioni corporee di tensione − la primitiva risposta all’esperienza stressante − la loro riattivazione inaspettata e incontrollata può avere conseguenze negative, produrre, cioè, sintomi psicopatologici e fisici.

Far elaborare al cervello questo eventuale bagaglio vuol dire riportarlo al suo naturale equilibrio, permettendo a esso di concludere un’operazione fisiologica patologicamente interrotta. Un’operazione, quest’ultima, verso la quale il nostro cervello è predisposto e che, in molti casi, riesce a fare da solo. Qualche volta, invece, neanche con il tempo si riescono a sistemare i residui disturbanti delle esperienze negative che hanno sopraffatto l’individuo. Perché sono state troppo dolorose, oppure perché hanno incontrato una condizione soggettiva di particolare vulnerabilità. Le esperienze negative dei primi anni di vita, in particolare, possono avere un impatto devastante per l’individuo e diventare la base disfunzionale per sviluppi traumatici successivi.